La sensibilità barocettiva è in grado di predire la mortalità cardiovascolare nel lungo periodo dopo infarto miocardico nei pazienti con funzione ventricolare sinistra preservata


Uno studio ha valutato il potere predittivo nel lungo periodo della sensibilità barocettiva ( BRS ) depressa tra i pazienti, colpiti da infarto miocardico, con funzione ventricolare sinistra preservata.

La stratificazione del rischio dopo infarto miocardico consiste principalmente nell’identificazione dei pazienti con frazione d’eiezione ventricolare sinistra ( FEVS ) depressa, per la loro alta inicidenza di mortalità.

I marker autonomici possono aiutare a perfezionare la stratificazione del rischio.
La sensibilità barocettiva depressa ( < 3 ms/mmHg ) è risultata correlata a mortalità cardiovascolare in 1.284 pazienti postinfartuati durante il periodo di follow-up di 21 mesi nello studio ATRAMI, senza tuttavia dimostrare nessun significativo potere predittivo nei pazienti con FEVS maggiore del 35% o nei pazienti d’età superiore ai 65 anni.

Uno studio, coordinao da Peter J Schwartz dell’Università di Pavia, ha esaminato 244 pazienti postinfartuati consecutivi, di età media 59 anni, con FEVS maggiore del 35% ( media 54% ).
I pazienti sono stati sottoposti a valutazione completa, tra cui BRS per 4 settimane.

Nel corso di un periodo osservazionale medio di 5 anni, il 5,7% dei pazienti è morto per cause cardiovascolari.
Il rischio relativo per la sensibilità barocettiva depressa era 11.4 per l’intera popolazione esaminata, 19.6 per i pazienti di età uguale o inferiore ai 65 anni, 7.2 per i pazienti d’età superiore ai 65 anni.

Lo studio ha messo in evidenza che anche tra i pazienti postinfartuati a basso rischio, con funzione ventricolare sinistra preservata, la sensibilità barocettiva depressa è in grado di identificare, indipendentemente dall’età, un sottogruppo di pazienti ad alto rischio di mortalità cardiovascolare nel lungo periodo, che necessitano di strategie terapeutiche più aggressive. ( Xagena2007 )

De Ferrari GM et al, J Am Coll Cardiol 2007; 50: 2285-2290
Cardio2007



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